Appalti, sub-appalti e busta paga da fame: e la chiamano sicurezza?
Sembra stia cominciando a scoperchiarsi l’immenso e inquietante vaso di Pandora degli appalti di manodopera, dove domina da troppo tempo la dittatura del massimo ribasso con tariffe diventate per forza di cose “criminogene” nei confronti degli anelli più deboli della catena, i lavoratori da una parte e la collettività dall’altra.
Tariffe criminogene perché, a quei prezzi, appaltatori e sub-appaltatori dei servizi ancillari nella logistica, nei trasporti, nella sicurezza o nelle pulizie non possono non compiere reati di evasione fiscale e contributiva, falsificazione dei libri paga, omissione delle misure di sicurezza arrivando, talvolta, alle minacce ed alla violenza nei confronti di persone costrette a lavorare con paghe umilianti ed a condizioni estreme perché non hanno altra scelta.
Danni erariali, servizi fatti male, misteriose sparizioni e insicurezza diffusa sono invece le conseguenze dirette che subiscono lo Stato ed i cittadini ai quali, inconsapevoli, può succedere di imbattersi in lavoratori “arrabbiati”, magari controllati da datori di lavoro collusi o infiltrati dalla criminalità organizzata, che vanno a caccia di appalti anche in perdita allo scopo di riciclare denaro sporco e controllare il territorio per impostare altri reati più pericolosi per la sicurezza pubblica.
Il mercato dei servizi in appalto è solitamente strutturato a piramidi specchiate, con grandi aziende ai vertici delle piramidi dei fornitori in grado di soddisfare le esigenze di altre grandi aziende ai vertici delle piramidi degli utilizzatori. In entrambe si trovano spesso marchi arcinoti, che investono in campagne pubblicitarie milionarie per trasmettere immagini rassicuranti di efficienza, qualità, eleganza, rispetto dell’ambiente.
In qualche spudorato caso, perfino di responsabilità sociale, facendo finta di non sapere cosa succede nei livelli inferiori delle proprie piramidi.
“Lo stalliere del re deve conoscere i ladri di cavalli” diceva Gianni Agnelli per prendere le distanze dalle malefatte dei suoi collaboratori ma parrebbe che, negli ultimi tempi, sindacati, organi di stampa e magistratura stiano accendendo dei fari per mettere in luce proprio cosa fanno i re e gli stallieri degli appalti.
Fari che potrebbero indurre la politica e, si spera, il legislatore a prendere consapevolezza delle dimensioni e della pericolosità intrinseca del fenomeno, in particolare in questa fase di ripresa galoppante dell’economia, e introdurre i necessari correttivi alla normativa di riferimento.
Per ultimo, è forse il caso sottolineare che la questione non ha solamente implicazioni di stampo etico.
Vito Mancuso, filosofo e teologo, intervenendo il 23 luglio allo Streameeting Coop sul tema “L’etica al lavoro”, ha affermato che “se le persone sono contente di lavorare, di essere in quel posto perché si sentono trattate giustamente, da esseri umani, lavorano dando il meglio di se stesse. Il rapporto tra etica e lavoro è qualcosa di intrinseco da rispettare, qualcosa che riguarda l'intelligenza e, forse ancora di più, il successo economico.”
E noi aggiungiamo che il rapporto tra etica, lavoro e successo economico riguarda anche la sicurezza, per tutti: utilizzatori, lavoratori, operatori e, non ultimo, lo Stato.
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