IA al lavoro, amica o nemica? Le considerazioni di Angelo Carpani

di Angelo Carpani, libero professionista e docente per securindex formazione

1. L’IA nel mondo del lavoro

L’intelligenza artificiale è già al lavoro in molte aziende e in molte fabbriche.

Nel mondo dell’Industria, oggi si parla di transizione 4.0 in quanto l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il modo con cui l’uomo interagisce con la macchina e come le macchine interagiscono tra loro: l’IA fornisce alle macchine una capacità di calcolo e una capacità di analisi dei dati che permettono loro di compiere dei “ragionamenti” complessi, analoghi a quelli che compirebbe un essere umano.
Si sta parlando addirittura di “digitalizzazione” della manifattura, e quindi non solo di “digitalizzazione” dei processi produttivi.
Sui social leggiamo dei post in cui Assolombarda si propone per supportare le aziende che intendono avvalersi delle tecnologie di intelligenza artificiale.

Non solo nell’Industria ma anche nel mondo dell’Artigianato è in atto questa profonda trasformazione: secondo Confartigianato, sono 125.000 le micro imprese che hanno varcato le frontiere dell’Intelligenza Artificiale e utilizzano queste tecnologie per migliorare le idee create da loro. Le aziende artigiane italiane che lo stanno già facendo sono di più che nel resto dell’Europa: la media italiana supera l’8% contro il 5,5% dell’UE.

È possibile quindi che le macchine e i robot dotati di intelligenza artificiale sostituiscano le persone?
Questa domanda preoccupa molti lavoratori, soprattutto in campo industriale dove le macchine non sono più semplicemente dei bracci meccanici programmati per ripetere sempre gli stessi movimenti, ma sistemi dotati di intelligenza artificiale e quindi capaci di adattarsi, di imparare e di prendere decisioni.

Quella della “digitalizzazione” della manifattura è un'esigenza non solo legata alla normale evoluzione della tecnologia (che è stata sempre presente nella storia!)
ma che nasce anche dalla necessità di far fronte al calo demografico verso cui sta andando la nostra società: da qui ai prossimi 15 anni si prevede che in Italia noi avremo circa 10mln di lavoratori che andranno in pensione e le nuove generazioni che entreranno nel mondo del lavoro saranno poco più di 6 milioni: quindi noi avremo una differenza tra chi esce dal mondo del lavoro e chi entra, di quasi 4mln di lavoratori.
Per colmare il divario, occorre necessariamente aumentare la produttività e l’efficienza delle fabbriche investendo in tecnologie intelligenti puntando su un capitale umano sempre più qualificato.

Il mondo del lavoro è quindi destinato a cambiare, anzi sta già cambiando!
Avremo quindi fabbriche e laboratori artigianali dove macchine intelligenti dialogheranno sempre di più con gli uomini e i prodotti. Non si tratta più di dotare la produzione industriale o artigianale di PC (meglio di PLC) a cui vengono date istruzioni precise per eseguire determinati compiti, ma di avvalersi di macchine dotate di AI capaci di parlare, di eseguire un compito anche se non hanno tutte le informazioni di partenza precise. Macchine quindi capaci di adattarsi, di imparare e prendere decisioni.

Quindi, con le stesse ore di lavoro si produrrà di più e probabilmente ci saranno anche meno infortuni perché alle macchine saranno affidate le fasi più critiche e pericolose delle lavorazioni.
Sentiamo parlare di robot umanoidi, cioè robot con sembianze umane, e questo sembra esagerato ma in alcuni paesi dove il calo demografico è drammatico, come in Corea e in Giappone (e l’Italia è subito a ruota), si stanno inserendo i primi robot infermieri, con sembianze umane, negli ospedali per prestare assistenza ai malati.

2. L’AI nel mondo della ricerca scientifica: le abilità emergenti” dell’intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale ci può essere utile, anzi ci è utile, non solo nel mondo del lavoro, ma anche nell’ambito della ricerca scientifica, sempre che si possa fare una distinzione tra le due cose in quanto la ricerca ed il lavoro vanno di pari passo.

Abbiamo visto che negli ultimi 4/5 anni una serie di piccole innovazioni inserite nel campo della traduzione automatica, hanno creato algoritmi che possono leggere tantissimi documenti di testo in grado di comprendere, a loro modo, i contenuti, riassumerli e generare altri testi: questo fenomeno si chiama “abilità emergente”. 

Quante volte abbiamo sentito dire dagli sviluppatori che sono rimasti sorpresi dalle prestazioni dell’IA in quanto sono andate oltre le aspettative? Ci sono ad es. alcune abilità dell’AI su ChatGPT che sono “emerse” spontaneamente, senza che noi ce l’aspettavamo, e abbiamo constatato come le abilità “emergono” spontaneamente al crescere dei dati di addestramento: se mettiamo pochi dati non emergono queste abilità, se però aumentiamo i dati, compaiono queste abilità emergenti, cioè questa capacità di creare contenuti nuovi.

E quindi: se mettessimo 100 volte dati in più, cosa potrebbe emergere? Quindi è bene non porre limiti all’evoluzione dell’intelligenza artificiale che può davvero sorprenderci con risultati inaspettati.

Perché è interessante questa “proprietà emergente” che constatiamo nello sviluppo dell’intelligenza artificiale?
Perché abbiamo il dubbio che quello che si sia evoluto in Natura, sia una piccola parte di ciò che era possibile: quali mondi non sono emersi e potevano nascere?
Questo per dire che dentro la Natura ci sono ancora tante cose che non conosciamo e tante altre che potremmo evolvere noi.

Uno scienziato è riuscito a coltivare delle proteine in laboratorio che sono naturalissime, possono esistere, ma l’evoluzione non le aveva ancora fatte “emergere” e adesso grazie a quegli enzimi, noi facciamo detersivi, coloranti, cosmetici, biocombustibili.
Quindi l’IA ci aiuta a capire, grazie a queste “abilità emergenti”, che la natura è molto più grande di quello che noi osserviamo e conosciamo.
Possiamo sviluppare programmi di IA per:
- progettare proteine che non esistono in natura, o ad es. dei "super anticorpi" pensati per la protezione del sistema immunitario;
- mettere a punto modelli climatici più sofisticati;
- scoprire le strutture complesse delle proteine mentre prima non riuscivamo a farlo.

Quindi possiamo fare cose nuove, però, e arrivo al terzo punto, tutto questo deve avvenire sotto la direzione di una mente umana.
Perché?

3. I limiti dell’IA: le “allucinazioni”

Perché sappiamo che l’intelligenza artificiale commette i suoi errori dovuti alle cosiddette “allucinazioni”, cioè la tendenza a inventare risposte che sembrano plausibili ma che non sono basate su fatti.

Sappiamo, ne ho parlato ed ho cercato di spiegarlo nel precedente webinar, che quella che fornisce l’IA non è una risposta esatta, ma una risposta probabile. Sappiamo che le macchine di intelligenza artificiale vengono addestrate fornendo loro dati come esempi, e sappiamo anche che se forniamo esempi sbagliati, essa non farà altro che amplificare gli errori. Ad es. i programmi per comprendere testi e dialogare che imparano addestrandosi sul Web, assimilano così anche errori, e non c’è quindi da meravigliarsi se a volte diano risposte sbagliate di cui sentiamo parlare tante volte nelle cronache.

Ma sappiamo anche che l’IA ha le “allucinazioni”, cioè genera contenuti falsi, anche se tutti i dati di addestramento contengono tutti dati corretti e veri.
E questo diventa un problema se affidiamo alle macchine e ai programmi scopi di lavoro o di ricerca.

Come si risolve il problema in questi casi? Si sta attenti a fornire, certamente, dati accurati (senza quindi “pescare” dal Web).
Ma questo non basta: per eliminare il problema delle allucinazioni, ad oggi non si può fare a meno del controllo umano.
Prima che il programma venga reso pubblico, degli operatori valutano le innumerevoli risposte e bocciano quelle scorrette e bloccano contenuti pericolosi così che il programma impari a fare certe cose e non altre!

4. La decisione finale spetta all’uomo

Nella produzione industriale, le tecnologie dell’IA possono automatizzare attività ripetitive e banali consentendo al personale addetto di concentrarsi su attività più complesse e strategiche.
Tuttavia, il giudizio umano, le intuizioni e le capacità decisionali sono ancora cruciali nella maggior parte degli scenari. L’intelligenza artificiale può certamente contribuire ad aumentare le capacità umane e migliorare l’efficienza, ma richiede sempre la supervisione e l’interpretazione dei risultati da parte dell’uomo.

Il tema è complesso e delicato, e nessuno sa, neanche gli sviluppatori, cosa avvenga tra i nodi della rete neurale e quale strada segue un programma di AI per arrivare alle sue conclusioni.

Non sappiamo quali processi, quali dati abbia preso in considerazione l’IA per arrivare alla risposta che ci viene data, non riusciamo a ricostruire la logica per cui l’IA ha preso certe decisioni piuttosto che altre.

Ma noi esseri umani, vogliamo sempre sapere in base a quale percorso logico si arriva a determinate conclusioni.
Ad esempio se si vuole utilizzare l’IA in indagini giudiziarie, bisogna stare molto attenti: in un processo, in un'indagine poliziesca non si può fare la domanda e prendere per buona la risposta! Bisogna capire perché la macchina è arrivata a quella risposta. Bisogna avere molta prudenza.

La responsabilità finale deve essere pertanto dell’uomo e alcune decisioni non possono essere delegate in “toto” alla macchina: affidare le scelte della propria vita a una macchina intelligente è alquanto azzardato (es. investimenti finanziari, cure mediche, strategia militare, ecc.).
L’Intelligenza Artificiale è, e deve essere vista, come un'intelligenza complementare e bisogna fare in modo che quella umana comandi sempre e che dia delle regole etiche.

 

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