Vigilanza: ASSIV, un contratto contro la crisi

Roma - In un'intervista rilasciata lo scorso dicembre a Essecome, Gianluca Neri, direttore di ASSIV, l'associazione degli istituti di vigilanza aderente a Confindustria, fa il punto della situazione in una fase  particolarmente delicata per la categoria.

Le più recenti situazioni di crisi aziendale indicano che il settore è “sovradimensionato”, con un’eccedenza di offerta rispetto alla domanda. L’effetto più evidente è la difficoltà di riassorbimento del personale delle aziende che hanno dovuto sospendere l’attività, a prescindere dalle motivazioni, da parte di quelle subentranti nell’esecuzione dei servizi. Quali forme di ammortizzatori sociali ASSIV ritiene più utili e percorribili per gestire il problema?

Indubbiamente, come emerge anche da recenti studi che abbiamo commissionato a società specializzate, dalla crisi generale deriva una crisi ancora più marcata nel settore della vigilanza privata; è del tutto evidente che nella clientela del settore privato la tendenza alla riduzione dei costi non destinati al core business colpisce in generale e pesantemente la spesa per i servizi, compresi quelli erogati dalle imprese che rappresentiamo, con riduzioni spesso talmente drastiche da mettere in discussione l’efficacia della prevenzione che un servizio di vigilanza dovrebbe garantire. Contemporaneamente la richiesta di abbassamento dei prezzi delle prestazioni è tale da mettere in discussione la copertura del costo del lavoro dei dipendenti degli istituti di vigilanza; l’accettazione di tali prassi, se crea l’illusione della sopravvivenza momentanea, porta a lungo andare alla messa in discussione della stessa esistenza dell’impresa con le conseguenze che ahimè sono sotto gli occhi di tutti. Nel pubblico la prassi delle gare al massimo ribasso, unitamente ai tagli dei servizi a causa della spending review hanno fatto e stanno facendo il resto.

Comunque il fenomeno degli esuberi dei lavoratori impiegati nel nostro settore non è dovuto esclusivamente a una contrazione della domanda, che pure si riscontra, ma alla mancanza delle buone pratiche che tutti gli attori, istituzionali e non, dovrebbero perseguire in presenza di comportamenti distorsivi della concorrenza e del mercato.

ASSIV, insieme alle associazioni e alle organizzazioni sindacali che hanno condiviso il percorso, con la firma del nuovo CCNL ha introdotto come punto qualificante del contratto la regola del cambio di appalto, che prevede che l’azienda che subentra a un’altra nell’affidamento di un servizio di vigilanza sia obbligata all’assunzione del personale impiegato da quella uscente, alle stesse condizioni economiche e normative acquisite in azienda, utilizzando per la determinazione dell’organico necessario (ci potrebbero essere riduzioni di prestazioni) la divisione delle ore di servizio previste per un numeratore convenzionale. Ora se è vero che potrebbero esserci comunque degli esuberi di personale nell’azienda uscente, è anche vero che invece si fa salva la continuità lavorativa della gran parte dei lavoratori, con il risultato virtuoso che il ricorso agli ammortizzatori sociali si riduce drasticamente e con esso il costo sociale ed economico per la collettività. Di fatto abbiamo creato un ammortizzatore sociale a costo zero per la collettività, e un regolatore di prezzo contro le offerte anormalmente basse, quelle cioè che non tengono in considerazione i costi a tutela della copertura delle retribuzioni, degli oneri sociali e dei costi che derivano da prescrizioni obbligatorie di legge.

Ma perché poc’anzi si scriveva della necessità del ricorso alle buone pratiche? Perché spesso, e in alcuni territori anche volentieri, chi istituzionalmente dovrebbe accompagnare la soluzione dei cambi d’appalto non soltanto non lo fa ma qualche volta entra anche a gamba tesa. Allora in conclusione, pur non negando la criticità, noi abbiamo bisogno, così come in tanti altri settori, che nel nostro Paese chi deve, e può, faccia davvero la sua parte senza infingimenti.

Una guardia giurata che perde il posto di lavoro e non rientra nel settore perde la qualifica e il porto d’arma ma può conservare la pistola, che per legge è di proprietà personale. Come si potrebbe risolvere un problema con effetti potenzialmente molto pericolosi dal punto di vista sociale?

La normativa vigente è chiara: il porto d’armi, se pur a tassa ridotta rispetto agli altri cittadini, è rilasciato alla Guardia giurata per l’esclusivo scopo di difesa personale. Ciò insieme al divieto di comodato delle armi ha costruito una procedura coerente con la norma. L’arma è personale, viene acquistata e detenuta dal possessore e deve essere regolarmente denunziata all’autorità di P.S., così come deve essere comunicato il cambio del domicilio di detenzione. Quindi per poter immaginare soluzioni diverse ci dovrebbe essere una modifica radicale della Legge per la disciplina delle armi. Oggi la prassi è che in molti territori sono in vigore accordi sindacali che prevedono il sostegno da parte dell’Istituto di vigilanza alle spese di acquisto della pistola o revolver da parte della guardia, con restituzione del prestito con trattenute nella busta paga o alla fine del rapporto di lavoro.

Recentissimamente, con l’entrata in vigore del DM 266/12, il decreto che regolamenta i servizi antipirateria a bordo delle navi italiane in navigazione nelle acque internazionali a rischio, si è prevista la possibilità per gli istituti di poter prendere le armi (fucili d’assalto) anche a noleggio e recapitarle a bordo su cassoni di sicurezza per le guardie giurate, che a questo punto hanno affidate le armi in dotazione in comodato d’uso. Questo vuol dire che, se pur nella particolarità del tipo di servizio, si possono trovare strade per ovviare al proliferare del numero di armi in possesso di soggetti che non esercitano più il lavoro per il quale erano stati autorizzati ad avere un’arma. Nel caso in cui si propendesse anche in Italia per le armi assegnate alle guardie in comodato d’uso, si potrebbe immaginare, in un rapporto sinergico con le armerie convenzionate con gli Istituti, di poter far restituire l’arma in deposito all’armeria (che dovrebbe gestire anche tutta la prassi di trasmissione dei dati all’Autorità di PS), in attesa di assegnarla ad altri soggetti assunti; in questo caso l’arma assumerebbe la veste di bene strumentale, quindi potrebbe essere portata in ammortamento dalle aziende, si potrebbe acquisire in leasing e così via. Certo tutto ciò è e rimane nel campo delle pure ipotesi, perché non è semplice la soluzione del problema; non bisogna dimenticare, inoltre, che se le aziende si dovessero sobbarcare, in una situazione economica del settore così complicata, anche gli ulteriori costi per l’acquisto delle armi forse, a ragione, avrebbero qualcosa da eccepire

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