Mercato europeo del lavoro dei servizi di sicurezza, mal comune mezzo gaudio?

Uno studio condotto da CoESS e UNI Europa, le confederazioni europee delle aziende e dei sindacati del comparto dei servizi di sicurezza, evidenzia difficoltà di reperimento di risorse umane analoghe in tutta la UE. Marco Stratta, Segretario Generale di ANIVP, analizza la situazione italiana individuando possibili azioni correttive.

QuaIe fotografia ci rende lo studio presentato da CoESS e UNI Europa sul mercato del lavoro europeo per gli addetti alla sicurezza?
Quando leggiamo che in Germania il numero delle posizioni rimaste aperte nel settore della sicurezza tra gennaio 2020 e dicembre 2021 è rimasto invariato (circa 11.000 unità) e che in Francia 2/3 delle società di sicurezza hanno riscontrato difficoltà nel trovare personale, capiamo subito che il trend che stiamo riscontrando in Italia è individuabile anche a livello europeo.
Ma partiamo dall’inizio: lo studio condotto da CoESS e da UNI Europa e finanziato dall’Unione Europea, analizza in prima battuta la composizione del mercato del lavoro del settore della sicurezza a livello europeo, basandosi principalmente su dati Eurostat o provenienti dalle organizzazioni nazionali membri, per poi mostrare i risultati ottenuti da un questionario elaborato con lo scopo di coinvolgere tutti i player del settore, focalizzato sull’importante tematica della carenza di personale, sia in termini numerici, sia in termini di specifiche skill.
Nel dettaglio sono stati coinvolte:
- 38 società di sicurezza operanti in Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lituania, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Spagna, Svezia e Ungheria;
- 23 organizzazioni datoriali membri del CoESS;
- 18 organizzazioni sindacali membri di UNI Europa (Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Spagna Svezia e Ungheria);
- 12 grandi clienti del settore della sicurezza (Austria, Belgio, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Spagna e Svezia).

Lo studio mostra quindi una fotografia che conosciamo bene anche in Italia, seppure con alcune peculiarità: un mercato del lavoro composto da lavoratori per lo più maschi, di mezza età, nel quale si riscontrano mancanze legate soprattutto alle conoscenze IT e delle nuove tecnologie, alle conoscenze linguistiche e interculturali ma anche più generali, come la capacità di comunicazione e il people management.

Queste carenze hanno origine in primis dallo sviluppo in ambito tecnologico, che ha portato ad un aumento della domanda di servizi di sicurezza più complessi e di più alto livello; ma anche la pandemia Covid-19 ha in qualche modo accelerato questa tendenza, in quanto ha aperto nuovi possibilità di lavoro in ambiti fino a quel momento inesplorati (safety, health) colpendo invece settori più “tradizionali” come, per esempio, la sicurezza aeroportuale.

Parallelamente, il 92% delle società di sicurezza ha confermato di aver riscontrato difficoltà negli ultimi 5 anni a trovare dei nuovi lavoratori. Per vari motivi, tra cui figurano la poca attrattività del settore e i salari poco competitivi, risulta complicato trovare nuove risorse, specialmente giovani, per integrare o sostituire lo staff in forza.

Come risultato, il 47% delle società di sicurezza dichiara di faticare a far fronte alle richieste di servizi di sicurezza con lo staff che ha al momento in forza e il 68% si aspetta che la carenza di personale e la discrepanza tra le competenze offerte dal mercato del lavoro e quelle richieste dagli utilizzatori di servizi di sicurezza aumentino ancora in futuro, diventando così un importante problema per le organizzazioni.

Dal suo punto di osservazione, quanto è coerente con la situazione italiana?
Direi che c’è un parallelismo quasi perfetto rispetto alla situazione italiana; anche se non abbiamo dati precisi per il nostro Paese ma è indiscutibile che le problematiche siano assolutamente le stesse.

Cosa si dovrebbe fare per uscire da questa situazione, lato committenza, lato imprese di servizi, lato parti sociali, lato Governo?
La committenza è sempre più chiamata a capire quale servizio vuole avere, perché la logica del massimo ribasso non è compatibile con un servizio di qualità. A maggior ragione in una fase in cui si fatica a trovare personale, dove le società di servizi, non potendo soddisfare tutte le richieste, sono costrette a selezionare i clienti presso i quali impiegare i lavoratori più capaci.

Molte società di vigilanza e sicurezza stanno quindi attuando o si stanno organizzando per attuare delle proprie strategie interne per far fronte al problema: investimenti per implementare la formazione del proprio personale (upskilling), o per fornire loro una riqualificazione (reskilling), partnership con centri di formazione e autorità locali, promozione attiva della propria società (employer branding).
Continua comunque a mancare una "cultura di settore" che permetta una maggiore identità del comparto verso l’esterno ma anche politiche condivise di reclutamento e formazione. Come parti sociali, si è discussa proprio la possibilità di attuare delle sinergie per finanziare la formazione professionale in modo sistematico ma, essendo ancora ai blocchi il rinnovo contrattuale, per ora restano solo le esperienze, seppur virtuose, degli enti bilaterali territoriali.
Come A.N.I.V.P. stiamo sostenendo l’iniziativa di www.jobforvigiles.it per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in un "luogo" dedicato fin dalla progettazione a rispondere alle esigenze del mondo della sicurezza.

Infine, il Governo ha vincolato molti finanziamenti del PNRR proprio alla formazione ma quello di cui si sente la mancanza è una politica che aiuti il recupero di redditività dei salari, perché in questa fase così complessa non può essere solo il minimo di legge o il contratto collettivo a risolvere il problema; soprattutto quando le gare di appalto troppo spesso soffrono dinamiche che favoriscono una concorrenza che porta proprio all’involuzione salariale.

Clicca qui sotto per scaricare lo studio condotto da CoESS e UNI Europa:

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