Verso il riordino della sicurezza privata? Il punto di ANIVP

Per 90 anni il sistema della vigilanza privata si è basato sul TULPS del 1931 che aveva due soli riferimenti, le guardie giurate e i portieri di fabbricati. Oggi i profili professionali della sicurezza sono molteplici e, tranne i servizi di controllo disarmati, tutti sono regolamentati. Marco Stratta, Segretario Generale di ANIVP sostiene la necessità di un nuovo testo unico della sicurezza.

In occasione del convegno “Gli abusi nella sicurezza privata” del 23 novembre a Fiera SICUREZZA, lei ha sottolineato la necessità di riordinare il sistema normativo italiano del settore per superare l’eccesso di atti amministrativi, ovvero di circolari, che ha generato confusione sia tra gli operatori che nell’utenza. Qual è la sua proposta?
E’ necessario un approccio più consapevole da parte del legislatore al mondo della sicurezza privata. Per “consapevole” intendo, in primis, più organico e ordinato. Per 90 anni tutto è girato attorno ad una normativa storicamente datata (RD 18 giugno 1931 n. 773 – Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza - NdR) che in questo campo aveva due soli riferimenti, le guardie giurate e i portieri di fabbricato o albergo. Oggi è cambiato tutto: i profili professionali del mondo sicurezza sono molteplici e, ad esclusione dei servizi di controllo disarmati (il portierato moderno per intenderci), tutti hanno una regolamentazione normativa. In tale contesto, per gli operatori e per lo stesso apparato dell’Amministrazione diventa difficile districarsi; figuriamoci poi per la committenza che, nel cercare semplicità, trova un bizantinismo di regole e differenze impossibili da capire. Questo impedisce di valorizzare e far emergere chi lavora in modo corretto e con un progetto industriale credibile perché, inevitabilmente, rimane confuso nella mischia. Fare sintesi normativa, creando magari un testo unico dedicato al settore della sicurezza, permetterebbe di meglio comprendere, gestire e alla fine vendere le diverse professionalità che ormai compongono il settore.

Dal suo punto di vista, come dovrebbero venire regolamentate le attività delle associazioni di volontari che si occupano di protezione civile, per evitare anomale sovrapposizioni con operatori commerciali?
Durante il convegno sono stati affrontati i motivi che hanno generato le possibili sovrapposizioni che lei cita e non mi soffermo ulteriormente sul punto, ma credo sia indiscutibile la necessità di recuperare lo spirito che è collegato al nome delle cose. Se voglio fare impresa mi metto sul mercato e, assumendomi il rischio imprenditoriale, mi organizzo per cercare di erogare un servizio e generare un utile; nel volontariato invece devono mancare gli elementi del mercato, del rischio di impresa ma anche dell’utile. Il volontariato non può diventare un soggetto commerciale che opera ad un prezzo più basso perché non è soggetto alle regole delle imprese.

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