Google spegne Revolv e scatena l’ansia per l’Internet delle Cose
Revolv, una tipica start up della Silicon Valley nata nel 2012, si era presentata come una control room per i dispositivi in rete per l'intrattenimento, l'illuminazione, il riscaldamento, la sicurezza. A seguito di una scelta di Google, lo smart hub smetterà di funzionare il 15 maggio, abbandonando i dispositivi che controllava e, soprattutto, gli utenti che li hanno acquistati.
Revolv era stata acquisita da Nest nel 2014, a seguito dell'acquisizione della stessa Nest da parte di Google. Subito dopo l’acquisizione, Revolv aveva sospeso le vendite del servizio, e gli sviluppatori erano stati assegnati a progetti per il versante domotico di Google, pur garantendo la continuità delle prestazioni agli utenti, che non avrebbero dovuto temere sospensioni negli aggiornamenti di sicurezza, almeno fino a fine contratto.
Invece, con un comunicato pubblicato di recente sul sito di Revolv è stato annunciato che il servizio sarà artificialmente soppresso e raggiungerà il "fine vita" contrattuale. Il 15 maggio il dispositivo e la relativa app per gestire le cose di casa connesse smetteranno di funzionare.
"Purtroppo non possiamo più dedicare risorse a Revolv e siamo costretti a disabilitare il servizio". Così il team di Nest ha giustificato la chiusura. Non è dato sapere quanti siano gli utenti, ma emerge con chiarezza il loro disappunto perché stanno comprendendo a loro spese la differenza tra il possesso di un oggetto e la possibilità di utilizzarlo a discrezione dell'azienda che lo gestisce. Al danno si aggiunge la beffa: chi volesse utilizzare il dispositivo in modo autonomo (stand alone) potrebbe scontrarsi con leggi che impediscono di esercitare il pieno possesso di oggetti di cui aveva acquistato le prestazioni.
Nest ha deciso di sopprimere Revolv, ma nel suo portfolio prodotti non avrebbe ancora soluzioni adeguate per la smart home. Come viene riportato dai siti specializzati, dopo essere passata sotto il controllo di Google, Nest avrebbe diversi problemi interni: da anni è al lavoro su un device per la smart home ma mai immesso sul mercato, mentre un competitor come Amazon si muove nel mercato con Echo.
Commenta Candido Romano, Tech Editor di IBTimes Italia: “Bisogna essere cauti nell'acquisto, siamo ancora in uno stadio iniziale dell'evoluzione dell'Internet delle Cose. Una più importante evoluzione sarà fornita se chiaramente saranno le masse ad adottare queste tecnologie ma, ad oggi, manca ancora un driver importante che definisca lo status symbol di "possedere" un device che renda la propria casa intelligente. Insomma manca ancora l'iPhone della IOT e lHomeKit di Apple non è il successo sperato. Ci sono comunque altre soluzioni non connesse al cloud e utilizzabili solo in locale che potrebbero, forse, ovviare a questi problemi. I consumatori devono rendersi conto della differenza sostanziale tra il mondo dei device connessi e quelli che non richiedono una connessione per funzionare. In questa "nuova era" di oggetti comunicanti bisognerà quindi pensare a un "worst case scenario" nel caso in cui la propria casa intelligente smettesse di comunicare, se ad esempio non attivasse l'allarme antincendio. Non sarebbe proprio una situazione invidiabile in cui trovarsi.”
A cura della Redazione