I buchi Nes e Ipervigile hanno inghiottito prima le aziende e i posti di lavoro, e ora…
Le inchieste delle Procure di Treviso e di Salerno e le indagini della Guardia di Finanza stanno delineando la portata reale del crack dei gruppi NES e Ipervigile, conseguenti alla scoperta di ammanchi nei diversi caveaux dei due operatori del trasporto valori per oltre 50 milioni di euro.
Nel caso più eclatante (NES), sarebbero stati finora accertati 32 milioni tra iva e ritenute d’acconto non versate, 8 milioni di costi indeducibili e 1 milione di iva dovuta, con conseguenti denunce penali per reati tributari non solo per Luigi Compiano che, tra l’altro, rischia la bancarotta fraudolenta, ma anche per il fratello minore Marco e alcuni tra i più stretti collaboratori.
Con i debiti verso i fornitori, il buco della NES potrebbe superare i 102 milioni inizialmente stimati dal commissario Sante Casonato, coperto solo in minima parte dal valore dei beni sequestrati alla famiglia che, oltre a diverse proprietà mobiliari e immobiliari, comprendevano la favoleggiata collezione di veicoli di ogni genere messa insieme negli anni da Luigi Compiano.
Collezione composta, secondo quanto riportato dai giornali locali, da 493 auto d’epoca, 168 moto, 58 motoscafi da competizione, 155 biciclette da corsa e d’epoca e numerosi oggetti vari (trattori, bob, furgoni, tricicli, affettatrici ecc ).
In realtà, i danni maggiori prodotti dai casi NES e Ipervigile si stanno manifestando all’esterno delle famiglie dei rispettivi ex-proprietari, con due distinti scenari di distruzione sulla testa di soggetti del tutto incolpevoli, come i dipendenti, i contribuenti italiani e i clienti diretti e indiretti delle aziende fallite.
Il primo è quello dei dipendenti. Rimasti quasi tutti senza lavoro dalla sera alla mattina, il loro riassorbimento presso altre aziende del settore è risultato subito impossibile, così come ogni ipotesi di ripresa dell’attività delle aziende “stand-alone”. Non è rimasto che il ricorso agli ammortizzatori sociali per alleviare i pesantissimi disagi delle famiglie di oltre 1000 lavoratori causando, in tal modo, un costo ulteriore per la collettività non inferiore a 25 milioni di euro in due anni.
Il secondo versante è più articolato. Si parte dal fatto che i 50 milioni di ammanco non sono risarcibili da parte delle assicurazioni, trattandosi di appropriazioni indebite da parte degli amministratori della società, per legge non assicurabili. Essendo fallite NES e Ipervigile, i proprietari del denaro a loro affidato (banche, poste, supermercati) devono contabilizzare l’ammanco nel proprio contro economico in quanto creditori non privilegiati e, ove le proprie polizze assicurative lo prevedano, richiedere il risarcimento alle compagnie. Di conseguenza, sono saltati i livelli dei premi assicurativi, con aumenti anche del 400% per questa categoria di clienti diretti.
Ma un altro grave problema è determinato dal fatto che la maggior parte del denaro mancante dai caveaux di NES e Ipervigile non era di proprietà dei clienti diretti di questi gruppi, ma di clienti di altri trasportatori, per i quali lavoravano sul territorio di competenza. Il fallimento ha quindi spostato il problema del risarcimento dei clienti finali sulle mandatarie capo-gruppo, con rischi reali di “effetto domino” sull’intero sistema.
E’ quindi logico che i clienti del trasporto valori stiano valutando come garantire la business continuity di un servizio rientrante a tutti gli effetti tra le Infrastrutture Critiche del paese, e prendano in considerazione le best practices internazionali, dove si sta affermando la linea dell’insourcing della contazione e della custodia del contante da parte del sistema bancario per evitare che si ripetano situazioni che, in altri paesi, hanno causato danni anche maggiori di quelli provocati da NES e Ipervigile.
A cura di Raffaello Juvara - Riproduzione riservata