Contratto firmato, missione compiuta
Nel rispetto della liturgia delle migliori trattative sindacali, le parti sociali hanno firmato all’alba del 16 febbraio la versione 2.0 del CCNL dopo quasi sei mesi di negoziato non del tutto comprensibile, dal momento che sapevano benissimo fin dall’inizio quali importi avrebbero dovuto inserire nel contratto per rimediare all’insostenibile versione 1.0 del 31 maggio 2023.
Il fatto che abbiano dovuto riconoscere agli operatori non armati, il gradino più basso della gerarchia contrattuale, un aumento “monstre” quasi del 50% a regime per raggiungere un livello retributivo almeno “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.), attesta quanto fosse drammaticamente inadeguata la situazione di partenza.
C’è voluta giusto la Procura di Milano per riportare in carreggiata un sistema deragliato esercitando la funzione correttiva che le compete, come ha sottolineato a più riprese la Cassazione: “…fatto salvo, oltre ad eventuali disposizioni di legge, l’intervento correttivo del giudice sulla stessa contrattazione collettiva” (Cass. 2 ottobre 2023 n. 27769-27771).
Con la firma del contratto corretto si è dunque compiuta con successo la missione dei magistrati a tutela della parte più debole, i lavoratori, e adesso possono lasciare all’autoregolamentazione del mercato il riassestamento dei prezzi in base ai nuovi costi del lavoro.
Anche noi, nel nostro piccolo, consideriamo conclusa la campagna di informazione che avevamo iniziato nel 2012 per richiamare l’attenzione su questa piaga e da questo momento cercheremo di agevolare il dialogo tra le parti interessate con tutte le iniziative di nostra competenza e facoltà, a partire dal convegno del 9 aprile nel quale si farà il punto della situazione tra committenti e fornitori alla ricerca di soluzioni sostenibili.
Come abbiamo già più volte sottolineato, in tutta questa vicenda l’aspetto per noi più misterioso è il comportamento dei sindacati confederali che, fin dalle origini dei “servizi di portierato” come venivano chiamati negli anni ’90, hanno dimostrato un disinteresse per la categoria a dir poco incomprensibile.
Decine di migliaia di lavoratori sottopagati e maltrattati non nascosti nelle campagne o in capannoni ma ben visibili davanti ai negozi del centro, nei supermercati e nelle portinerie di aziende pubbliche e private avrebbero dovuto scatenare scioperi e manifestazioni di piazza per provocare l’intervento degli ispettorati del lavoro e delle prefetture.
Se vogliamo, si sarebbero dovuti interessare a queste persone neanche per motivi socio/politici ma più prosaicamente per ragioni di cassetta (raccolta di tessere e di quote degli enti bilaterali). Invece, come se la cosa non li riguardasse, hanno lasciato il campo delle vertenze individuali ai sindacati autonomi, hanno sottoscritto il CCNL della vergogna del 2013 e hanno lasciato passare otto anni per rinnovarlo nel maggio del 2023 diventando, di fatto, correi delle aziende che lo avevano applicato correttamente e per questo sono state commissariate con l'accusa infamante di "caporalato".
L’incapacità di uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati è confermata dal tragicomico incipit del comunicato unitario pubblicato nei loro siti il 16 febbraio con l’annuncio della firma del CCNL 2.0: “Le organizzazioni sindacali e parti datoriali trovano l’accordo nel rispetto degli impegni presi alla firma del contratto nazionale del maggio 2023”.
Ma di quali impegni stanno parlando, visto che hanno dovuto trovare un nuovo accordo solo perchè sono intervenuti i magistrati?
Le controparti datoriali e i lavoratori ne erano a conocenza?
E perchè durante l'estate del 2023 hanno lasciato che la stampa distruggesse l'immagine di tutto il comparto, la loro per prima?
Di fronte a tanta incapacità, pensiamo che sarebbe necessaria un’autocritica profonda di tutto il sistema che porti, se necessario, ad un ricambio generazionale e culturale dell’intero movimento sindacale diventato casta in grado solo di rappresentare se stessa, non di certo i lavoratori.