Luigi Compiano, è possibile credere alla “buona fede”?
Riceviamo da Il Calendario della Vigilanza Privata e pubblichiamo volentieri:
«Perché non è stato ancora arrestato? È questo l’interrogativo che molti si fanno riguardo la sorte dell’imprenditore Luigi Compiano, trevigiano, titolare dell’Azienda North East Services, che stando alle indagini ha distratto decine di milioni di euro in contanti dal caveau dell’Istituto di Vigilanza di Silea dando come garanzia assegni "a me medesimo", oltre alla trentina di milioni scarsi di debiti col fisco, e una ventina di milioni di debiti verso fornitori, con le cifre che salgono ogni giorno di più.
Se a queste poi si aggiungono quelle dovute ai fornitori del Gruppo e agli IVP in subappalto, allora vien fuori la prospettiva di un effetto domino incontrollabile. Compiano ha usato la NES come tutti noi usiamo il bancomat. Come sia stato possibile senza che nessuno vedesse è materia per i giudici. Difficile pensare che abbia potuto agire senza creare sospetti in chi avrebbe dovuto, a vario titolo, controllare. Ma quello che incuriosisce è anche altro.
Dalle cronache dei giornali sembra venire fuori il ritratto di un uomo non più presente a se stesso il quale, in preda a un istinto che potremmo catalogare sotto la voce “collezionismo compulsivo”, ha acquistato tutto il lusso motorizzato possibile e immaginabile: 70 natanti, 400 automobili e 100 motociclette. Ferrari, Aston Martin, Rolls Royce e financo un telaio automobilistico di una formula due pagato ben 100.000 euro che ha spinto il fortunato venditore a fare la più inopportuna delle domande all’insolito acquirente: "scusi, ma cosa se ne fa?".
Raccontata così la storia sembrerebbe il caso di una persona fuori di senno. Tuttavia, una volta accertate le responsabilità personali non scattano le manette. E vorremmo capire perché.
La prima ipotesi è che ci troviamo davanti a un irresponsabile ma, sinceramente, è un ipotesi improbabile. Luigi Compiano, prima di essere un appassionato collezionista di motori, è un imprenditore a capo di un importante Istituto di Vigilanza privata, 700 dipendenti calcolando solamente NES che diventano 1.200 considerando tutta la galassia Compiano.
La seconda ipotesi è quella che sembra più realistica, quella cioè di un uomo che ha perso il senso della realtà risucchiato dal vortice di un'azienda che aveva cominciato il suo irreversibile declino come azienda. Un imprenditore che ha visto l’impero della sua famiglia sbriciolarsi giorno per giorno e ha cercato disperatamente di aprire nuovi mercati investendo soldi non suoi, questo l’azzardo grave.
Non è escluso, anzi è certo, che quei soldi non suoi siano serviti anche per pagare stipendi e fornitori, permettendo all’azienda di sopravvivere e sperare in un domani migliore sul quale contava, ne era certo, per restituire il "prestito". Potrebbe essere stata la speranza di poter vedere ancora primeggiare il nome Compiano che lo ha spinto ancor più nell’abisso cieco in cui si trova oggi.
Quindi si può arrivare alla conclusione che la vicenda Compiano sia non soltanto una vicenda giudiziaria di cattiva gestione amministrativa e contabile, ma anche una vicenda umana che in questo momento tragico va rispettata da tutti noi. Chissà se troverà la forza di parlare, anche con un semplice "chiedo scusa a tutti".
Si capirebbe il dramma umano, e lo capirebbero tutti. Anche chi ha preso in questi anni uno stipendio che forse non c’era, almeno non per tutti i 1200 dipendenti del gruppo.
Si potrebbe allora, a ragion veduta, anche credere nella buona fede di Luigi Compiano. Almeno in quella buona fede in senso soggettivo che consiste nello stato psicologico di chi ignora di ledere l’altrui diritto.
Per quel che riguarda noi però la domanda concreta sulla quale concentrarsi adesso è un’altra, come si possono aiutare i 700/1200 lavoratori del Gruppo Compiano? Sembra lecito chiedere al sistema imprenditoriale, quello che opera nella Vigilanza Privata con capacità, passione e amore, l’obbligo di tutelare il buon nome dell’Istituzione, altrimenti potrebbe essere la fine non solo di un importante gruppo, ma di tutto il sistema nel suo insieme. Non sarà questa l’ultima crisi che vedrà protagonista la Vigilanza privata, anzi.
Ho scritto in questi giorni il post Settecento Guardie Giurate disperate cercano Imprenditori armati di buona volontà, che vi prego di far girare più che potete come drammatico e sincero appello alle forze migliori del nostro mondo in quanto conosco, penso bene, i miei colleghi e coloro che a vario titolo lavorano in un IVP.
Cosa fa una Guardia Giurata o un dipendente quando perde inaspettatamente il lavoro? Si rivolge immediatamente a tutti gli Istituti del suo territorio. Anche in questi giorni sta succedendo la stessa cosa, è sempre così.
Quindi affianchiamo il lavoro concreto che in questi giorni sindacato e associazioni imprenditoriali stanno facendo per garantire, nei limiti del possibile, i giusti passi del caso specifico, con una richiesta di assunzione di responsabilità, non dovuta ma doverosa, verso la parte migliore dell’imprenditoria della Vigilanza privata, che in questi giorni si sta interrogando sul da farsi per non subire un’ingiusta perdita di credibilità, che non merita. Il servizio del Trasporto valori e della Vigilanza Privata in generale è indispensabile e insostituibile per la società tutta. E sempre di più lo sarà nel futuro.
Non vorrei che, spinti dalla disperazione del momento, i colleghi in crisi di oggi e di domani, si comportassero come gli amici africani che annegano nella speranza di aggrapparsi a un Paese che affonda. False speranze, no grazie. Diteci chiaramente qual è la realtà e affrontiamo insieme il da farsi, senza paure.»