Il denaro contante può essere un fattore di democrazia? Una “Lettera al Direttore”
di Raffaello Juvara
Tra gli effetti collaterali della pandemia e del conseguente blocco delle attività, non è irrilevante la polemica scoppiata a livello internazionale sull’utilizzo del denaro contante, accusato da più fonti di essere possibile veicolo di contagio del coronavirus.
Dalle prime notizie di gennaio su quanto succedeva a Wuhan, è trapelato che (forse) anche le banconote venivano messe in quarantena dalle autorità cinesi e, quando la pandemia è arrivata in Europa, si sono subito levate richieste a livello istituzionale, in particolare di alcune banche centrali nordiche, di bloccare la circolazione del contante per tutelare la salute dei cittadini. Richieste alle quali ha replicato ESTA, l’associazione europea del trasportatori di valori, citando autorevoli pareri come quelli dell’OMS e del Robert Koch Institut di Berlino che sostengono che le banconote non siano più pericolose di oggetti come le carte di credito, le tastiere di POS e bancomat, maniglie e corrimano.
In realtà, anche se non risulta che durante il lockdown alcun governo dell’Eurozona abbia impedito l’uso delle banconote per motivi sanitari, il blocco in casa delle persone e il ricorso massivo agli acquisti online hanno ulteriormente ridotto il suo uso nei paesi già abituati alla moneta elettronica. Negli altri, in particolare l’Italia, lo hanno circoscritto alle fasce di popolazione più anziane o prive di conto corrente.
Si deve comunque ricordare che nel nostro paese la questione sanitaria si è sovrapposta a quelle annose sulla lotta all’evasione fiscale, al riciclaggio ed all’economia sommersa al centro di un dibattito politico stantio e spesso ipocrita, che ha finora generato provvedimenti da parte dei vari governi quanto meno contraddittori.
Adesso il governo Conte ha reintrodotto il limite delle operazioni a 2.000 euro dal 1° luglio, che passerà a 1.000 euro da gennaio 2022, un provvedimento che potrebbe chiudere la querelle sull’utilizzo legittimo del contante ma che, naturalmente, scontenta “a prescindere” tanto i partiti favorevoli quanto quelli contrari al suo utilizzo.
Rimane sullo sfondo l’interrogativo sulla funzione attribuibile nell’era digitale a banconote e monete metalliche in quanto espressioni materiali di un valore economico. Sono almeno due gli aspetti da analizzare con un approccio, ci sia consentito, che deve superare tanto le implicazioni fiscali e legali che quelle di tutela di interessi che, per quanto legittimi, sono di parte. Il primo aspetto, molto pratico, è quello del contante come fattore di resilienza individuale e di sistema.
Ben prima della pandemia, in tutto il mondo innumerevoli situazioni di blackout elettrici e informatici per cause naturali o azioni dolose avevano dimostrato l’utilità di avere una scorta di denaro contante per acquistare beni di prima necessità, senza che il suo possesso e il suo impiego comportino intenzioni di frode fiscale, corruzione, usura, riciclaggio o altro.
Il secondo aspetto è quello del denaro contante come fattore di democrazia e di sicurezza. La Svezia, uno dei paesi con il tasso di pagamenti digitali più elevati al mondo, nel gennaio di quest’anno aveva imposto alle banche di rifornire e ricevere contanti mentre i dubbi sulle garanzie di tutela dei dati personali dei pagamenti elettronici sono sempre più diffusi, provocati sia dalla proliferazione dei reati informatici che dagli interrogativi sulla “onestà intellettuale” dei gestori dei dati, siano essi soggetti pubblici che privati.
Leggi nell'allegato la “Lettera al Direttore” sull'argomento inviata da Rodolfo Di Martino, designer ed esperto di comunicazione che ben conosce il mondo della sicurezza.