Fase 2, le criticità del Protocollo contro la diffusione del Covid-19 nei luoghi di lavoro

Per le misure di contrasto della diffusione del Covid-19 nei luoghi di lavoro nella Fase 2, il DPCM del 26 aprile fa riferimento al Protocollo condiviso tra le parti sociali del 24 aprile che, a sua volta, aveva aggiornato i contenuti del 14 marzo. Entrambe le edizioni presentano elevate criticità in relazione alle attività prese in esame. L'analisi dell'avv. Maria Cupolo e dell'ing. Ugo Gecchelin.

Premessa
Lo scorso 14 marzo, su invito del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell’Economia, del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministro dello Sviluppo Economico e del Ministro della Salute, è stato promosso un incontro tra le parti sociali finalizzato all’intesa tra organizzazioni datoriali e sindacali che ha portato alla sottoscrizione del “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”.
È recente la nuova versione del Protocollo datata 24 aprile che aggiorna il precedente del 14 marzo, modificandone alcune parti.
Per le imprese le cui attività non sono sospese, l’applicazione del Protocollo originale è stata espressamente richiamata all’art. 1 comma 3 del DPCM del 22/03/2020, mentre per il Protocollo Aggiornato l’applicazione è richiamata all’art. 2 comma 6 del DPCM del 26/04/2020.

Finalità
Questo articolo vuole affrontare alcune criticità rilevate dei Protocolli, in relazione alle evoluzioni dell’emergenza e delle evidenze riscontrate nelle attività oggetto dei Protocolli stessi, confidando che queste criticità possano essere risolte a breve in successive versioni.
Le criticità qui presentate sono suddivise in due ambiti: quello della sicurezza degli ambienti di lavoro e della interferenza tra le persone (non solo i dipendenti) e quello del trattamento di dati connesso alle procedure da adottare per il rischio COVID-19...

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